Ilario Rossi
  • Home
  • Biografia
    • Mostre Personali
    • Mostre Collettive
    • Bibliografia
    • Scritti di Ilario Rossi
    • la Vita
    • Il padre Ferdinando Rossi
    • Fotografie
    • Cataloghi
  • GALLERIA
    • Opere da rintracciare
    • NUDI
    • FIORI
    • MARINE
    • FIGURE
    • NEVICATE
    • RITRATTI
    • PAESAGGI
    • INFORMALE
    • ACQUARELLI
    • NATURA MORTA
    • TORSI e PUPAZZI
    • DISEGNI di NUDO
    • Biennale di Venezia
    • Quadriennale di Roma
    • Biennale di Milano
    • Biennale di Imola
  • Altre tecniche
    • Incisioni
    • Disegni
    • Acquarelli - Tempere
    • Affreschi
    • Ceramiche
    • Sculture
    • Costumi Scenografia Studi
    • Litografie
    • Illustrazioni libri
  • Coll. pubbliche
    • Fond. Lercaro, Bologna
    • Genus Bononiae
    • MAMBO Bologna
    • Museo U.S.L. Bologna
    • Museo della Resistenza
    • Museo Bonzagni, Cento
    • Museo Sella, Parma
    • Museo Civico, Udine
    • Museo Barbella, Chieti
    • G. Arte Moderna S. Marino
    • G. Arte Moderna Torino
    • G. Arte Moderna Venezia
    • Motonave Andrea Doria
    • Regione Emilia-Romagna
    • Monzuno
    • ALTRI
  • Saggi critici
    • C. Spadoni
    • F. Arcangeli
    • A. Baccilieri
    • F. Basile
    • M. Bentivoglio
    • E. Biagi
    • L. Carluccio
    • P. G. Castagnoli
    • G. C. Cavalli
    • C. M. De Paola
    • C. Fava
    • V. Mascalchi
    • P. Mandelli
    • S. Malossini
  • Coll. private
    • 01 Galleria di Bologna
    • 02 BRAMBILLA
    • 03 BELFATTO
    • 04 MATTIOLI
    • 05 AZZALI
    • 06 NATALI
    • 07 PELLEGRINI
    • 08 TANCREDI
    • 09 BRINTAZZOLI
    • 10 MARTELLI
    • ALTRI
  • Premio I. ROSSI
    • il premio Ilario Rossi
    • premio 2019
    • premio 2018
    • premio 2017
    • premio 2016
    • premio 2015
    • premio 2014
    • premio 2013
    • premio 2011
    • premio 2012
    • premio 2010
    • Fotografie
    • Artisti partecipanti
  • Contatti

ILARIO ROSSI le Biennali di Venezia, Centro Stampa Regione ER, Bologna, 2018l

Sandro Malossini

Ilario Rossi partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1936 all’età di venticinque anni. L'opera “Paese” viene esposta nella sala 40, accanto a più noti e già affermati artisti come Antonio Donghi, Leonor Fini, Pio Semeghini.
In quel periodo, e ancora in anni successivi, la partecipazione all’importante rassegna veneziana era decisa da una commissione: quell’anno è composta da otto membri giudicanti, tra cui Gino Severini ed Arturo Tosi. Un esordio che per Rossi si presenta duplice, da una parte sotto un occhio vigile alle esperienze delle avanguardie e delle ricerche più innovative (si pensi al Severini futurista e poi cubista), dall’altra con l’attenzione a un percorso più tradizionale e paludato (basti ricordare il neoclassicismo semplificato o il Novecento di Arturo Tosi).
Senz'altro un momento di importante stimolo per un giovane che si trova ad esporre assieme ai conterranei Nino Bertocchi, Alessandro Cervellati, Lea Colliva, Nino Corrado Corazza, Garzia Fioresi, Pompilio Mandelli, Luciano Minguzzi, Guglielmo Pizzirani, Bruno Saetti, Cleto Tomba, Farpi Vignoli: alcuni già suoi maestri all'Accademia di Belle Arti di Bologna, altri compagni di viaggio ed amici come Mandelli. Al contempo è anche l'occasione per apprezzare dal vivo opere viste solo in riproduzione come le ventiquattro di Edgar Degas, nella retrospettiva che la Francia dedica nel proprio Padiglione al grande artista.
Nel 1940, a quattro anni dalla precedente esperienza, Ilario Rossi torna alla ventiduesima Biennale con l’affresco “La famiglia”, esposto nella sala 3, assieme ai bassorilievi di altri due artisti bolognesi, Paolo Manaresi e Enzo Pasqualini: è il risultato del concorso tematico sulla famiglia promosso dal Sindacato nazionale fascista di Belle Arti.
L'affresco, che rimane documentato in fotografia perché più volte riprodotto nella stampa dell'epoca, segna un'importante svolta nella stagione del nostro che tornerà, in altri anni, nel 1948, a questa tecnica per realizzare “L'Eccidio di Marzabotto” in un edificio (oggi sede di una Scuola d’infanzia) del parco della Montagnola di Bologna. L'Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna conserva in esposizione permanente i monumentali disegni preparatori (in scala 1:1, 10 metri per 3) donati dal Comune di Monzuno.
Lo stesso 1948 segna anche il ritorno a Venezia, con “Mele e bimba”, “Donna che si sveste” e “Scuola del nudo”, esposte nella sala 36 accanto ad Aligi Sassu, Enrico Paolucci, Enzo Pasqualini. E' la Biennale dei grandi nomi nella Commissione a cui spetta la scelta e l'ammissione degli artisti, ne fanno parte Carrà, Casorati, Longhi, Morandi, Pallucchini, Ragghianti, Semeghini, Venturi.
E' anche la Biennale dei premi assegnati ad artisti che faranno la storia dell'arte del Novecento: Georges Braque, Henry Moore, Giorgio Morandi, Giacomo Manzù, Marc Chagall, Mino Maccari, Renato Guttuso e Alberto Viani.
La vetrina veneziana è sempre più importante e si prepara a quello che accadrà negli anni del boom economico, che porteranno, di lì a poco, il mondo internazionale dell'arte in laguna.
E’ il periodo in cui Ilario Rossi elabora un linguaggio sempre più autonomo rispetto alle suggestioni morandiane che lo avevano accompagnato, si esplica una maturazione espressiva che ne farà un artista completo, attento e sensibile anche alle nuove sperimentazioni che troveranno casa in Francia poco dopo. Nel 1952 il critico Michel Tapié pubblica “Un art autre”, testo teorico importante per Rossi, come per altri artisti bolognesi ed italiani, ma che non sposerà mai, rimanendo un pittore figurativo, che pure utilizza la scomposizione e la frantumazione dell'immagine ma solo per sottolinearne la presenza.
Nuovamente in Biennale nel 1950 con un'opera della tradizione, “Ritratto della madre”: soggetto e composizione ricalcano paradigmi consolidati, già assimilati anche dagli esponenti della “Scuola romana”, Scipione e  Mafai in primis. Il quadro ad olio è nella sala 21, che ospita anche una scultura del futuro collega di Accademia Quinto Ghermandi, una di Emilio Greco e lavori pittorici di Francesco Trombadori e Orfeo Tamburi.
Anche questa edizione premia la migliore arte del periodo: per la pittura Henry Matisse e Carlo Carrà, per la scultura Ossip Zadkine e Luciano Minguzzi.  Accanto a Rossi, trovano spazio in questa manifestazione anche le opere di Aldo Borgonzoni, Giovanni Ciangottini, Pompilo Mandelli, Carlo Corsi e il citato Minguzzi, tutti artefici dell’esperienza bolognese raccolta attorno alla Galleria Cronache, da loro stessi fondata nel 1942 e gestita per alcuni anni.
Anche la ventisettesima edizione del 1954 lo vede presente. La sala 14, che ospita le sue cinque opere, propone anche Lucio Fontana, Leoncillo Leonardi, Fabrizio Clerici, Giannetto Fieschi, Riccardo Licata, Ennio Morlotti e i “bolognesi” Sergio Romiti e Pompilio Mandelli.
I lavori esposti sono quattro paesaggi, dal vago sapore postcubista, e una figura, un nudo di donna seduta, forse il risultato di uno studio dal vero con una modella.
La struttura compositiva di queste prove non lascia dubbi sulla visione che l'artista ha del cambiamento espressivo maturato in quegli anni. Padrone del quadro, costruisce strutture solide e figurate, dove la materia si insinua per sovrapporsi a linee e forme, con agglomerati di bruni, di terre sofferte ed aride, una materia che però viene sempre respinta e relegata a un ruolo di comprimario: la capacità di Rossi è nella lettura a latere dell'informale, che riesce a trascrive come un sottofondo musicale nelle proprie opere.
Questa stessa edizione della Biennale allestisce personali uniche, ormai irripetibili: quelle di Savinio, di Prampolini, di Capogrossi e di Santomaso, per rimanere in ambito nazionale, o quelle, ancora più prestigiose, dedicate a Gustave Coubert (in tre sale), Jean Arp, Joan Mirò e Max Ernst. L'inevitabile confronto con la qualità e la quantità di opere presenti, porterà molti artisti, e tra questi crediamo anche Ilario Rossi, a ricercare sempre più una identità personale, unica e priva di legami con “maestri” e correnti.
Nel 1958 la partecipazione di Rossi è di primo piano: presenta sei opere fortemente caratterizzate da quegli elementi che sono alla base dell’analisi critica che sviluppa Francesco Arcangeli con la teoria rubricata “Ultimo naturalismo”. Anche se l’artista e il critico non aderiranno mai a una lettura condivisa, alcuni momenti, i più lirici, come le linee delle colline bolognesi che accompagnano lo sguardo su San Luca, possono formare un tessuto narrativo capace di ben accogliere e di fare riconoscere le parole di Arcangeli.
Le opere vengono ospitate nella sala 21, allestita da Carlo Scarpa, che  riesce a fare convivere alcune delle anime più belle e solitarie di quegli anni: Chighine, Giunni, Milani, Spacal, Valenti, oltre allo stesso Rossi. Osvaldo Licini riceve il premio per la pittura e Umberto Mastroianni quello per la scultura.
1964, trentaduesima Biennale, a Venezia la più grande rassegna mondiale d'arte contemporanea: trentaquattro nazioni partecipanti, mostra “Arte d'oggi nei musei”, personali di sedici pittori, otto scultori, un acquarellista e un incisore italiani; retrospettive di Felice Casorati, Pio Semeghini e Pinot Gallizio. Ilario Rossi, presentato in catalogo da Marcello Venturoli, espone in una sala personale (la 34) dodici opere di grandi dimensioni realizzate nell'anno precedente.
Il Padiglione degli Stati Uniti, sotto la regia del commissario ordinatore Alan Salomon, rivoluziona con i suoi artisti il linguaggio dell'arte: la Pop si afferma come nuovo movimento globale. Jim Dine, Jasper Johns, Louis Morris, Kenneth Noland, Robert Rauschenberg, Frank Stella, John Chamberlain e Claes Oldenburg sono al centro dell'attenzione mondiale.
Ma Rossi è autore dalle profonde radici storiche, la sua cultura visiva viene dal Trecento, attraversa il Rinascimento, vive il Barocco, passa attraverso l'Impressionismo, tocca le Avanguardie; e non cede il passo alla dimensione pubblicitaria, alla comunicazione di massa, alle nuove tecnologie, tanto necessarie (e indispensabili) agli artisti della Pop.
Queste opere, che concludono le sue presenze veneziane, raggiungono l'apice del linguaggio di Ilario Rossi, rappresentano la sintesi di una ricerca espressiva che raggiunge l’obiettivo appagato di una pittura piena e moderna.
E senza tempo, come solo la grande arte sa essere.