Ilario Rossi
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I nudi di Ilario Rossi visti da Enzo Biagi, Galleria d'arte Palmieri, Milano 1976


Enzo Biagi

Caro Ilario,

ho un solo titolo per scrivere questa paginetta: l’amicizia.

Non sono, come si dice, un addetto ai lavori, ma il mio affetto e la mia stima risalgono ad anni lontani. Ricordo Morandi come la Nazionale penzolante fra le labbra che gioca a scacchi al Caffè Borsa; Alfonso Gatto, magro e un poco allucinato, che viene ad insegnare Lettere all’Accademia; ero un giovane cronista e Giorgio Vecchietti mi pubblicava qualche breve racconto su “primato”.

C’era la guerra, e ci siamo ritrovati nei castagneti di Pianaccio; arrivarono i tedeschi e scappammo insieme. Tu dipingevi paesaggi cupi, primavere avare di fiori, alberi senza foglie che avevano un’anima e poi, a pastello, ritratti di giovani americani, scatolette di “Mea and vegetable stew”, per una posa.

Mi è sempre piaciuta la tua umiltà, ho ammirato non solo la fantasia ma il mestiere, una dote che diventa ancora più rara. La capacità di lavorare, la mano che sa eseguire l’idea, che obbedisce.

Penso che nelle botteghe dei grandi maestri del passato, con la porta sulla strada, si imparasse prima di tutto a disegnare. Picasso, per fare un esempio, lo conosci che è stato garzone; come guardando le tue opere ci si rende conto che hai imparato bene quello che spiegavano gli insegnanti di figura.

Mi hai mostrato i tuoi nudi di donna; io li trovo splendidi. Corpi che hanno la morbidezza sensuale delle colline che tu dipingi, donne forti, in quelle luci verdi, rosa, blu, che si lasciano contemplare o si abbandonano alla meditazione. Hanno, dietro di sé, un mistero e una favola da raccontare: si sente che sono nate per vivere, e che sono cresciute dalle nostre parti.

Dice Bacchelli: “Luoghi di belle donne, tutte genti di bel sangue e di bella gioventù”. Si distendono come campagne coperte dalla neve: e sotto di loro c’è il grano, o la vita. Anche le bottiglie metafisiche di Morandi lasciano intuire il profumo della cantina, e anche queste ragazze dalla carne che respira lasciano immaginare l’odore delle lenzuola.

Sono le protagoniste di alcune vicende che incantarono Boccaccio e Casanova, Stendhal e Sade, che rivivono nelle tue tele, e il silenzio del quadro si riempie delle voci che salgono da sotto i portici.

Morbide, ma non hanno nulla dell’odalisca, non denunciano la pigrizia dell’arem; ti offrono consolazione e abbandono, ma sono pronte a combattere con te. Hanno i colori accesi della gioia, o gli spenti bagliori che lasciano intuire la rassegnazione e il tramonto.

Mi piacciono e penso che piaceranno anche ad altri. Le guardi e ti fanno compagnia.

Buona fortuna.